lunedì 23 maggio 2011

Danza di morte di Strindberg

Alice: vuoi bere qualcosa, Kurt?
Kurt: non ancora, grazie.
Capitano: non sarai diventato per caso ...
Kurt: solo un po' moderato.
Capitano: in America?
Kurt: sì.
Capitano: io preferisco la smoderatezza, altrimenti è la fine. Un uomo deve reggere l'alcol.
(Parte prima)

Kurt: dì, hai fame?
Capitano: sempre.
Kurt: ti va qualcosa di leggero?
Capitano: no, voglio qualcosa di sostanzioso.
Kurt: sarebbe la tua fine.
Capitano: non basta il male, ci vuole anche la fame.
Kurt: è inevitabile.
Capitano: e niente bere né fumare. Ma allora non vale la pena vivere.
Kurt: senza sacrifici non tieni a bada la morte.
(Parte prima)

Kurt: hai notato come se n'è stato buono, ieri? Da quando ha smesso di bere è diventato un altro: calmo, riservato, ragionevole ...
Alice: certo. Se quell'uomo si fosse sempre moderato sarebbe stato un bel pericolo per l'umanità. E' una fortuna che si sia reso sempre ridicolo e impotente col suo whisky.
Kurt: il demone della bottiglia l'ha punito ...
(Parte prima)

domenica 1 maggio 2011

Ibsen: Quando noi morti ci destiamo

Maja (congiungendo entrambe le mani): ma perché non possiamo andare ognuno per la propria strada?
Rubek (fissandola con aria di sorpresa): lo vorresti?
Maja (alza le spalle): sì, se così deve essere ...
Rubek (in fretta): ma questo non deve essere! C'è una via di mezzo!
Maja (con l'indice teso): ora tu pensi nuovamente a quella signora pallida!
Rubek: ebbene sì, se devo essere sincero con te, penso continuamente a lei, dal momento in cui l'ho riveduta! (Facendo un passo verso Maja): ora è necessario che ti faccia una confessione ...
Maja: parla!
Rubek (percuotendosi il petto): qui dentro, vedi ... c'è un piccolo scrigno chiuso, dove sono conservati tutti i miei sogni d'artista. Dal giorno in cui quella donna scomparve senza lasciare una traccia dietro di sé, il coperchio si chiuse. E lei ne teneva le chiavi!

H. Ibsen, Quando noi morti ci destiamo, atto II


Rubek (con fierezza): io sono un artista, Irene ... e non mi vergogno delle mie debolezze. Giacché io, vedi, sono nato artista e non sarò mai altro che artista.
Irene (lo guarda, simulando un sorriso amaro e gli dice con dolcezza): tu sei un poeta, Arnold! (accarezzandogli leggermente i capelli) Ma è possibile che tu, o caro, grande e vecchio fanciullo, non possa comprenderlo!
Rubek (con aria di disgusto): perché mi chiami poeta così insistentemente?
Irene (spiandolo con gli occhi) perché, caro mio, in quella parola si trova una scusa, una assoluzione, che stende un velo su tutte le tue debolezze.

H Ibsen, Quando noi morti ci destiamo, atto II

Rubek (cambiando discorso): non saresti disposta ad accompagnarci e a venire ad abitare con noi in quella villa?
Irene (fissandolo con un sorriso sprezzantee): con te ... e con quella donna?
Rubek (insinuante): con me ... come negli antichi tempi della mia vita operosa; ... per aprire tutte quelle porte che si sono chiuse nel mio cuore? Non verresti?
Irene (scuote il capo): non possiedo più le chiavi del tuo cuore, Arnold!
Rubek: tu ... tu solo possiedi quelle chiavi! (con accento supplichevole) Aiutami a vivere ancora una volta la vita!
Irene (immobile come prima): sogni vuoti! Sogni oziosi! Sogni morti! Dalla nostra vita in comune non può sorgere nessuna Resurrezione!
Rubek (in tono brusco): e allora accontentiamoci di continuare ancora i nostri giochi.
Irene: sì, continuiamo a giocare ... a giocare ... soltanto a giocare!

H. Ibsen, Quando noi morti ci destiamo, atto II

Il Piccolo Eyolf di Ibsen

Rita: ... perché a lungo andare questa situazione è insopportabile! Oh, trovare qualcosa che ci faccia dimenticare!
Allmers (scuotendo il capo): che cosa potrebbe essere?
Rita: non so ... un lungo viaggio?
Allmers: partire? Proprio tu che sei a tuo agio solo a casa tua?
Rita: allora vedere molta gente. Gettarci in una vita che distragga e stordisca.
Allmers: una vita simile non si adatta ai miei gusti ... no ... piuttosto preferirei riprendere il mio lavoro.
Rita (in tono aspro): il tuo lavoro? Quel lavoro che come un muro s'è alzato tra noi due?
Allmers (la guarda fisso e dice lentamente): ci sarà sempre un muro tra noi due, ormai.
Rita: perché dici questo?
Allmers: chi può sapere se i grandi occhi del bambino non ci guardano notte e giorno?
Rita (rabbrividendo, sottovoce): Alfred ... è orribile questo pensiero!
Allmers: il nostro amore è stato come fuoco che divora. Bisogna che sia spento ...
Rita: che si spenga!
Allmers: è già spento ... in uno di noi.

H. Ibsen, Il piccolo Eyolf, atto II

giovedì 28 aprile 2011

Ibsen: da Hedda Gabler

Lovborg: Sì, Hedda, e il giorno in cui mi sono confessato a lei, in cui le ho raccontato ciò che allora nessuno sapeva, confidandole di aver passato giorni e notti in orge sfrenate, d'ogni genere. Si, giorni e notti intere! Oh! Hedda! Quale potenza era in lei che mi obbligava a farle quelle confessioni?
Hedda: crede che ci fosse una forza in me?
Lovborg: E come si potrebbe spiegare altrimenti? E tutte quelle domande indirette che mi faceva ...
Hedda: che lei comprendeva tanto bene.
Lovborg: come faceva a interrogarmi così, con tanta audacia?

H. Ibsen, Hedda Gabler, atto II

...

Tesman: bisogna che te lo confessi, Hedda: quando ebbe finito ho provato un cattivo sentimento.
Hedda: un cattivo sentimento?
Tesiman: mi sono sorpreso a invidiare Ejler Lovborg d'aver potuto scrivere quel libro. Immaginati, Hedda!
Hedda: sì, sì, m'immagino.
Tesman: e direo com'è che quell'uomo, dotato com'è, rimarra, ahimé! per un altro verso incorreggibile.
Hedda: vuoi dire che ha più coraggio degli altri nel godersi la vita?
Tesman: oh, mio dio, no. Ma vedi, non ha nessun ritegno nel godimento.

H. Ibsen, Hedda Gabler, atto III

...

Brack: era troppo ispirato ... e eccitato. E allora ha cambiato idea, ha accettato l'invito. Eh, disgraziatamente noi uomini non siamo fermi nelle nostre determinazioni come dovremmo essere.

H. Ibsen, Hedda Gabler, atto III

lunedì 4 aprile 2011

La casa dei Rosmer (II)

Rebecca (violentemente) : Voi non avete capito niente, se credete che io abbia agito sempre freddamente, come seguendo, punto per punto, un piano predeterminato. Voi non potete nemmeno immaginare quale lotta si svolgeva dentro di me e quanto io ne fossi lacerata. Dovete ammettere che c'è, in ognuno di noi, il predominio alterno di due opposte tendenze: io volevo, sì, liberarmi di Beate, ma nel mio intimo, credevo non ci sarei mai riuscita ... sentivo una voce dentro di me che a ogni piccola vittoria, mi scongiurava: "adesso, non più oltre ... fermati per carità ... basta ... basta" Ma non riuscivo a fermarmi ...c'era l'altra voce, dentro di me che mi suggeriva: "un altro passo ... ancora ... ancora un solo passo ... va, puoi spingerti ancora un poco più avanti! .e .. puoi continuare ... devi continuare ... non fermarti! Va! va ancora un poco ...

La casa dei Rosmer

Rebekka: Credo che quanto è avvenuto oggi c'era da attenderselo. Rosmer: Non in questo modo ... Rebekka: Perché no? Rosmer: Me l'aspettavo che, prima o poi, la nostra bella amicizia sarebbe divenuta preda di chi tutto insudicia e fraintende; ma non che questo venisse da parte di Kroll. No ... pensavo che avremmo dovuto difenderci da gente ottusa e meschina, spinta a misurare ogni vicenda umana, con il metro della propria ignominia e, da costoro soltanto, credevo che fosse prudente proteggere il nostro segreto ... ma avevp torto . H Ibsen, La casa dei Rosmer, atto II

Anitra selvatica

Relling: Questo mi risolleva molto, grazie. Debbo dire che questa notte, il mio amico s'è comportato in modo disgustoso! Gina: Ma è vero, signor Molvik? Molvik: Mettiamoci una pietra sopra, eh! Quello che m'è accaduto questa notte, lo sapete, è un fatto completamente estraneo alla parte migliore del mio io. Relling (a Gregers): Ha perfettamente ragione: improvvisamente è come se di lui si impadronisse una specie di frenesia che posso in parte controllare, accompagnandolo a fare bisboccia. In quei momenti, Molvik è invasato dal demonio. Gregers: Invasato? Relling: Esattamente come ho detto. Gregers (beffardo): Questa si, che è da ridere! Relling: E invece, ci rifletta! Le nature demoniache non seguono la dirittura della vita; di tanto in tanto necessita loro di scantonare ... lei, invece, resiste ancora, lassù, a fare quel mestieraccio? H Ibsen. L'anitra selvatica, atto III

Un nemico del popolo (II)

Stockman: Quando si va a combattere per la libertà e per la verità, non si dovrebbe mai mettere un vestito nuovo.

Un nemico del popolo

Sindaco: Non chiedo la tua gratitudine. Fino a un certo punto il mio stesso tornaconto mi consigliava di aiutarti. Migliorando la tua condizione economica speravo di guadagnare un qualche ascendente su di te. Stockman: Come? E' stato solo per il tuo tornaconto personale? Sindaco: Fino a un certo punto, ho detto. E' imbarazzante per un funzionario avere un parente che si compromette a ogni piè sospinto. Stockman: E questo era il caso mio? Sindaco: Lo è ancora purtroppo. E non te ne accorgi nemmeno. Tu hai la deplorevole mania di spifferare al pubblico ogni sorta di cose, possibili e impossibili. Appena hai un'idea,senti il bisogno di farne un articolo o un opuscolo. Stockman: E non è il dovere di un buon cittadino comunicare al pubblico le proprie idee? Specialmente se sono idee nuove? Sindaco: Il pubblico non ha bisogno di idee nuove. Ha bisogno delle idee che ha già, idee vecchie e sperimentate H. Ibsen, Un nemico del popolo, atto II

domenica 3 aprile 2011

Spettri, Ibsen, alcol

Engstrand: Dorme ancora a quest'ora? In pieno giorno? Regine: E ate che te ne importa? Engstrand: Ieri sera sono stato fuori a far baldoria ... Regine: Non stento a crederlo. Engstrand: Noialtri uomini siamo deboli, figlia mia ... Regine: Questo è vero! Engstrand: ... e innumerevoli le tentazioni di questo basso mondo. Eppure, stamattina alle cinque e mezza ero già a lavorare. H. Ibsen, Spettri, atto I

I pilastri della società (ibsen)

Console Bernick: Sì, Lona, quella voce salvò la nostra ditta e mi fece diventare quello che sono. Signorina Hassel: Dunque una menzogna ti ha fatto quello che sei. Console: A chi poteva nuocere, allora? Johan non pensava affatto di ritornare. Hessel: Non danneggiava nessuno? Guarda dentro te stesso e dimmi se non ne hai sofferto. Console: Guarda nell'anima di qualunque uomo, e in ciascuno troverai un punto nero che è bene nascondere. Hessel: E tu e i tuoi simili vi proclamate pilastri della società? Console: La società non ne ha di migliori. Hessel: E che importa che questa società abbia o no dei pilastri? H. Ibsen, I pilastri della società, atto III

lunedì 14 marzo 2011

melville (2)

Chi non ha mai fallito in qualche campo, quell'uomo non può essere grande. Il fallimento è la vera prova di grandezza. E se si può dire che il continuo successo dimostra che un uomo saggiamente conosce le proprie forze, ciò è solo per aggiungere che, in tal caso, egli sa che sono scarse. Decidiamoci dunque a pensare, una volta per tutte, che non v'è per noi alcuna speranza in questi scorrevoli, piacevoli scrittori che conoscono lo proprie forze.

Melville, Hawthorne and his mosses

Melville (I)

E levarsi un libro fuori dal cervello è simile a quella scabrosa e pericolosa faccenda che è il togliere una pittura da un pannello - dovete grattarvi via tutto il cervello per ottenerlo con la dovuta sicurezza - e anche allora, può darsi che la pittura non valga lo sforzo.

domenica 13 marzo 2011

Lo stesso vale per la scrittura. La potenza della scrittura non sta in questa o quella cosa da dire, bensì nel poco o niente da dire, in una condizione in cui si annulla il dovere di scrivere. Ogni dover scrivere e voler scrivere è la patetica vittima delle proprie aspettative. La potenza della scrittura sta nell'essere senza aspettative. La potenza della scrittura sta nell'essere senza aspettative, nell'essere rassegnazione e rinuncia al dover scrivere, possibilità di rimanere sospesa soltanto come "preferenza"
G. Celati, Bartleby, introduzione

domenica 6 marzo 2011

We feel not only that Lowry is hiding behind Plantagenet, but also that Plantagenet is hiding behind Ahab or Ismael, as types of lonely, doomed wanderers, and that it does little good to face one's trouble if one has to see that trouble as a white whale, or as the large pale hand of a puppeteer, or as a white seaplane buzzing about overhead. What would Lowry have been able to make of himself if, seated at Eric Estorick's kitchen table that hot August, he had instead been able to write, in unadorned, matter-of-facts prose, of his own horror at what he had seen, in himself as well ad at Bellevue?

Douglas Day, Malcolm Lowry. A biography, pag 212

mercoledì 23 febbraio 2011

postured

There the novella ends, in total failure. Plantagenet ha postured, done his best to be "significant", read all the necessary symbols into whatever came before his eyes, sympathized with his fellow patients, argued passionately with his antagonist, tried his hardest to be a madman suffering in Purgatory - but he is still another drunk, another derelict in a city full of derelicts.
Douglas Day, Malcolm Lowry. A biography, pagg 209-210

sabato 12 febbraio 2011

Pegno

Che gloria ci può essere nel ricordare un pegno? Non c'è alcuna gioia nell'essere costretti a escutere una garanzia perché il debito non è stato pagato spontaneamente.

venerdì 11 febbraio 2011

Biutiful di Inarritu

Inizia con la ripresa, però rovesciata, dell'immagine che è in copertina di Up in it degli Afgan whigs, la mano quasi in bianco e nera, nuda e con le dita aperte.
Poi c'è la voce della bimba, e comincia quello che alla fin fine è un polpettone latino e sudamericano: ancora non ho capito se sono per le cose algide o per la passionalità (anche sfacciata - vedi walter siti di "scuola di nudo"): forse sono solo per le cose ben scritte e ben filmate. Sono per gli "occhi asciutti nella notte scura".
Quello che mi è piaciuto: 1) Barcellona, il mito di tutti gli erasmisti e dei giovani piccoloborghesi e dei discotecari etc, viene rivoltata come un pedalino, e fatta vedere da sotto in su: una sola volta la Sagrada familia immersa nella nebbia, e poi: cantine dove i cinesi muoiono a gruppi, case cadenti per disoccupati, per immigrati senza fissa dimora; la costa brava dove vengono riammazzati gli stessi cinesi che erano morti nella cantina, con lo sfondo di brillanti grattaceli vicino alla costa; 2) il protagonista è malato, è condannato, e allora la cinepresa senza rispetto si fissa sul suo corpo che si disfa, piscia sangue, si inietta, si trafigge da solo, si copre di macchie di barba trascurata, dimagrisce, etc.
Per il resto: un romanzone americano sulla vita ai margini, stile Angeli di Denis Johnson o Ingannevole è il cuore etc etc

martedì 25 gennaio 2011

Lady Chatterley (2)

Sesso ridicolo:

... di quelle spinte dellenatiche che erano davvero un po' ridicole. Per una donna che prendesse parte alla faccenda, quella spinta delle natiche dell'uomo era estremamente ridicola. Di sicuro, in quella posizione e in quell'atto l'uomo era profondamente ridicolo!

(e lo abbiamo capito)

Lady Chatterley

Esempi di scrittura "sgrammaticata"

Simili al vento, soffiavano piccole raffiche di sole, stranamente luminose (1) e al limite del bosco illuminavano (2) le celidonie, che sotto i noccioli, rilucevano (3) gialle e brillanti. E il bosco era immobile, più immobile (2) del solito ...

... con le sue pietre chiazzate di verde, un verde (2) ... e vicino alla porta, alla porta (2) chiusa ... ma forse il realtà provavano piacere; forse in realtà provavano piacere (2) ad essere scossi dal vento.

Le ripetizioni contribuiscono all'aspetto ritmico e infatti sono più presenti nelle parti bucolico-idilliache (ma sono ripetizioni)

domenica 23 gennaio 2011

Hereafter

Anzitutto non è un film sulla morte ma su quello che i vivi pensano della morte. Un film dei vivi a contatto con la morte. L'argomento è interessante, l'approccio del tipo "c'è qualcosa dopo la morte" mi lascia indifferente. Il modo in cui Eastwood racconta però è da grande narratore (non a caso ci mette dentro Dickens). E' così negli ultimi suoi film, uno stile piano, quasi ottocentesco, da narratore di talento che ti prende per mano e ti porta dentro la storia.
Commozione quando Lonegan va a visitare la casamuseo di Dickens; commozione quando si vedono Londra, Parigi e San Francisco (mi sono piaciute tutte e tre, a tutte e tre sono affezionato). Bella e senza esagerazioni la scena dello tsunami.
Splendida colonna sonora.
Bellissima la scena di approccio-seduzione con uno bendato che assaggia il cibo che l'altro gli porge. Una "sottotrama" che serve a far vedere come Lonegan è destinato a rimanere solo finché usa i superpoteri ma è anche eccitante in se, con la lingua e le labbra di lei esitanti; altrettanto una sottotrama è la passione che Lonegan ha per Dickens, che serve a portarlo a Londra ma è anche significativa in sé.

Addio ai mondi

Addio mondi (o morti) sorgenti dal capitale
presto elevato a culto
ritmi ineguali del ciclo finanziario, noti a chi ci lavora
e impressi fin nei suoi sogni, non meno
dei budget cui ogni impiegato deve sottostare;
torrenti e flussi dai quali l'angoscia
non ti abbandona neanche la domenica;
flussi finanziari che come torrenti
perdìo
vedono i lavoratori sempre perdenti
come branchi di pecore pascenti;
addio!

(Ma tutto questo non vale: infatti non lo aveva scritto dopo, ma lo aveva scritto prima, in anni e anni di rimuginio. E su tutto quello che aveva fatto fino a allora gravava il fango amaro dell'attesa e della sconfitta)

Inizio

Seduto sul divano, attendevo seminudo che arrivasse il segno.
Non ero andato a lavorare, nell'attesa che mi venisse recapitato il segno.
Dalle stecche orizzontali della persiana i raggi del sole ancora obliquo delle undici del mattino filtravano e accecavano l'uomo davanti a me, rinchiuso dentro il televisore, tutto impegnato nella vendita di alcuni quadri, mi pareva di intuire nell'abbagliante riflesso della luce calda, e di alcuni oggetti di arredamento. Gridava, poi sussurrava, poi si lanciava in nuovi sungulti, facendo mulinare le braccia mentre le cravatta ondeggiava: "la vostra casa vi rispecchia? Rispecchia veramente e profondamente la vostra personalità? Un ospite che entrasse ora in casa vostra, riuscirebbe a capire dal solo aspetto che assume il vostro soggiorno, come si configura in linea di massima il vostro carattee? Quali sono le vostre inclinazioni, i vostri sogni più reconditi, le vostre passioni ...
Seminudo, mi guardo intorno: capirebbe un ospite quale sia la mia personalità, i miei sogni, le mie aspirazioni? Le mie inclinazioni?
Ed è come se la guardassi per la prima volta, questa stanza. E so che non è perché quell'imbonitore ha attratto magicamente la mia attenzione su quelle quattro pareti (...)

sabato 15 gennaio 2011

Herzen e Bokassa

Visto in cd il film, acquistato a Più libri più liberi. Le scene inziale e finale, credo influenzate dalle visioni psichedeliche diciamo di Burroughs, sono le cose migliori: il mondo infestato dai granchi che alla fine lo riempiono interamente - per stessa ammissione si tratta di un sogno: è il sogno del giornalista oggetto delle torture da parte di Bokassa; e nel finale la scimmia che fuma una sigaretta, immagine metaforica e bellissima della bestialità dell'uomo, con il giornalista che quasi implora il regista dietro la macchina da presa: interrompiamo qui, interrompiamo qui. La bestialità è alla fin fine il tema del film

giovedì 6 gennaio 2011

Cranach

Mostra di Cranach. Nudi femminili freddi e pallidi. Giuditte e Salomè vestite di tutto punto e vagamente sorridendi che tengono con tutte e due le mani un vassoio grigio con sopra sanguinolenta e con gli occhi semisbarrati - gli occhi dell'orgasmo e della morte - i loro Giovanni e Oloferne; Lucrezie simbolo di castità e purezza etica, ma nude, che mentre si conficcano il pugnale nel ventre (nello stomaco, per l'esattezza) finiscono per mostrare al polso l'unico oggetto che indossano, un meraviglioso bracciale incastonato di perle: morire sì, ma con stile.
Poi, da capire, Malinconia.
Poi, da non perdere, le scene di caccia al cervo.
Poi, per noi, Bacco con il grande tino, con bambini ebbri che dormono, stravaccati, o litigano, si azzuffano, mentre una donna sfatta serve loro da bere. L'età dell'argento e i selvaggi con i bastoni in mano che si picchiano, nudi, caprini, pallidi e lividi.
Tu la chiami passione. Ma è tale la passione se continuamente non fa che interrogarsi sul proprio futuro, sul proprio destino, sulle proprie prospettive?
No: e in effetti mi sono sbagliato. Tu non la chiami passione.

domenica 2 gennaio 2011

Amleto

Amleto: "I would not hear your enemy say so
nor shall you do my ear that violence
to make it truster of your own report
against yourself. I know you are no truant.
But what is your affair in Elsinore?
We'll teach you to drink deep ere you depart
(Atto primo, scena seconda)

Amleto: Il re veglia stanotte, fa baldoria,
alza il gomito e pesta nella giga,
e ogni volta che ingolla vin del Reno
tamburo e tromba sbraitano così
le sue vittorie ai brindisi.
Orazio: E' un'usanza?
Amleto: Sì, perdio, ma a mio avviso
benché sia nato qui e con tutto questo
nel sangue, è usanza che fa onore
più a romperla che a osservarla.
Questa bisboccia ottusa ci squalifica
a est, a ovest, nelle altre nazioni -
ci chiamano beoni, e ci insozzano il nome
con allusioni ai porci.
(Atto I, scena IV)

Amleto: Faceva i complimenti alla mammella prima ancora di succhiarla. Costui, e molti altri della sua covata che vedo coccolati da questa età di merda, non han fatto altro che imparare il blabla di moda, e per l'abitudine di bazzicarsi, una specie d'amalgama schiumoso che li fa barcamenarsi tra opinioni più vagliate e studiate. Ma "do but blow them to their trial, the bubbles are out"